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Ero stato saldatore in una ditta dove facevo minuterie metalliche e grazie a questa esperienza venni chiamato da La Marzocco, perché il saldatore storico, Ugo, era arrivato all’età della pensione e dovevano trovare un sostituto. Ugo saldava a cannello le caldaie e tutti i tubi dell’idraulica. Mi ricordo il primo giorno, era verso la fine del 1994, venni su da Firenze per fare un colloquio: entrai in officina e mi accolse questo signore con la spolverina nera. Era Piero Bambi, ma io pensai che fosse un operaio e forse addirittura gli detti del tu, perché mi accolse in maniera molto gentile ma alla mano “Vieni vieni ti porto dal saldatore.”. Mi portò dal saldatore, Ugo, che invece iniziò subito a alzare la voce, con un piglio che io pensai fosse il padrone. Ugo doveva essere già in pensione, ma non trovavano un rimpiazzo. Non ricordo se fu proprio quel giorno o tornai la mattina dopo, ma ricordo che mi fecero provare a saldare dei tubi e Piero stava a guardarmi, lì proprio davanti, zitto. E stette a guardarmi per tutti i giorni di prova. Da una parte era un po’ imbarazzante perché non diceva nulla però avevo vent’anni ed ero anche abbastanza battagliero, quindi non mi sconvolgeva più di tanto.

Dopo qualche giorno Piero mi disse “É un piacere guardarti lavorare, si vede che hai già manualità, che sei esperto.”. Non ricordo se dovetti fare un periodo di prova o mi assunsero subito, fatto sta che sono rimasto.

Ugo all’inizio era molto scontroso. Era molto bravo a saldare a elettrodo e a cannello. Ma dovevi fare tutto proprio nel modo come ti diceva lui. Mi ha affiancato per un anno, perché mi doveva insegnare un lavoro abbastanza importante. Si trattava di fare tutti i tubi dell’impianto idraulico e le due caldaie di ogni macchina, che erano ancora saldate a argento. I fondelli li saldavamo già a TIG, ma Ugo in realtà non aveva esperienza con la saldatrice a tig, la usava ma evidentemente qualcuno gliela aveva regolata e poi gli aveva detto di fare in un certo modo, perciò mi diceva sempre NON TOCCARE QUELLE MANOPOLE!

Io la saldatura a TIG l’ho imparata a La Marzocco, un anno o due dopo, quando ormai ero solo. Per le normative americane dovevamo eliminare tutto l’ottone che poteva entrare in contatto con l’acqua. Fu necessario iniziare a saldare tutto a TIG. Venni mandato a Seattle dove La Marzocco aveva una piccola fabbrica dove assemblavano le macchine per Starbucks. Stetti dieci giorni con questo saldatore, Jessie, che mi dette la base per cominciare. Tutto il resto lo abbiamo fatto con Piero, che comprò dei libri e mi fece da maestro. Lui studiava e poi veniva a spiegarmi cosa aveva imparato. Una bellissima cosa, Piero era proprio una bella persona.

Capii subito che era un posto speciale: Piero poteva fare il padrone, invece lavorava con te, affrontava gli stessi problemi tuoi ed era il primo ad andare a informarsi e a dare disposizioni di come fare per provare insieme. Un datore di lavoro, che ti faceva anche da maestro. Forse se mi avessero mandato a fare un corso di saldatura avremmo risparmiato tempo ma in quel momento tutto andava fatto risparmiando il più possibile, tutto in casa.

Con Ugo il ritmo di lavoro era piuttosto serrato, dovevamo fare i tubi per sessanta macchine al mese, quindi preparavo sessanta tubi per ciascun tipo, all’epoca si produceva solo la Linea Classic. Tutto il giorno a piegare, segare, tutto rigorosamente a mano, limando i pezzi stretti nella morsa. Molto artigianale. E poi chiudere le caldaie. Era piuttosto semplice, il gruppo veniva fissato alla caldaia con dei bulloni quindi dovevamo solo mettere due fondelli e saldare un raccordino. Però sempre con il cannello.

Poi è aumentata la produzione ed è diventata insostenibile. Avevo fatto tutte le maschere con le dime per standardizzare il flusso del lavoro e semplificare. Lo facciamo ancora, ma prima era roba fatta in casa un po’ rudimentale per saldare i pezzi, ora sono sempre più curate.

La vecchia scuola era Risparmiare e fare tutto da soli. Quando serviva una cosa nuova Piero diceva “Prima proviamo a farlo da noi poi magari si compra.” Non so se perchè non ci fossero soldi, forse per una questione di mentalità, L’abitudine a fare con quello che c’è. Ad arrangiarsi. Piuttosto metterci un sacco di tempo ed energie. Perché questa mentalità secondo me ti resta addosso anche se diventi ricco.

L’officina saldatura era uguale a tanti laboratori artigianali vecchia maniera: era sporca, caotica a vedersi, con i calendari delle donnine alle pareti. Ma aveva un piccolo lucernario sul tetto che dava una luce molto bella e anche quella fu una cosa che mi colpì immediatamente. Dietro questa stanzetta c’era una finestrella da cui si vedeva il bosco. Sulla sicurezza Piero non transigeva. C’era un impianto di aspirazione.

Inizialmente facevamo tutta la macchina, almeno per quanto riguarda le saldature. Tutto l’impianto idraulico. E il cuore, che è la caldaia. Credo che questo reparto fosse tenuto molto in considerazione da Piero. Perchè il cuore della macchina se è fatto male dà problemi. Soprattutto di affidabilità, oltre che di sicurezza. Per la sicurezza c’erano già mille dispositivi già negli anni 70. Ma l’affidabilità ha a che fare con la reputazione.

Durante la pausa pranzo andavano tutti a giocare a pallone giù e io andavo sul tetto, con il panorama su Fiesole, su Monte Morello e Firenze di là e dall’altro lato il bosco. Che non era già più di Piero, ma noi passavamo lo stesso di là e andavamo a cercare gli asparagi. A volte quando gli altri giocavano facevo il raccattapalle, scavalcavo e andavo giù nel bosco a riprendere il pallone.

Insomma, per me La Marzocco è stata subito un posto speciale. Prima di arrivare a La Marzocco ho girato cinque o sei posti di lavoro. E questa cosa che ho provato a La Marzocco sinceramente non c’era. Era un fatto di rapporto umano.

Di Piero me ne parlavano come il tiranno, ma io gli ho subito voluto bene proprio perché era così. Credo che ci abbia accomunato la stessa passione per il lavoro. Quella scintilla tramandata dai due Bambi, tramite Piero. Era questo che si avvertiva, questa vibrazione qui. Di appassionarsi al lavoro. Io all’inizio sinceramente non ero appassionato. Mi piaceva il fuoco e basta. La prima volta che mi misero in mano un cannello dissi Ganzo, ganzo il fuoco! Ma quando vidi che Piero andava a leggere libri, ad approfondire per aiutarmi a fare le cose… e in questo farle insieme si capiva che qualcuno a sua volta l’aveva fatto con lui, suo babbo e suo zio. Questo almeno è quello che penso io. È questa la cosa che bisognerebbe mantenere viva, la cosa speciale de La Marzocco. Il tramandare la passione, che poi come diceva Piero non puoi trasmetterla, non puoi insegnarla, una persona la trova solo attraverso il lavoro, la dedizione…

Quando abbiamo lasciato Pian di San Bartolo tutti ripetevano che la stessa cosa può continuare anche in un altro ambiente ma in molti eravamo perplessi, e Piero mi disse Mah, io non mi affeziono ai posti. Ho sempre pensato che fosse il suo modo di darci la spinta ma non fosse vero.

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