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Il viaggio del caffè verso i nuovi paesi di consumo
Diversamente da quanto si possa pensare, le qualità delle diverse varietà di caffè non risiedono unicamente nelle tipicità di ciascuna specie o nelle tecniche di estrazione e selezione del chicco. Le fasi di confezionamento e di trasporto verso i paesi in cui viene commercializzato, infatti, sono altrettanto cruciali nel preservare ed esaltare le proprietà organolettiche di una cultivar fino al momento dell’estrazione in tazza. I chicchi devono essere protetti dall’umidità sin dalla raccolta, conservandoli in ambienti con un livello di umidità inferiore al 50% in modo da impedirne il deterioramento e da prevenire così l’alterazione del gusto del prodotto finale. I chicchi di caffè verde vengono raccolti all’interno di sacchi di iuta di 60kg, un materiale igroscopico – ovvero in grado di assorbire e trattenere l’umidità circostante – che li protegge dall’umidità, mantenendo i chicchi ad un tasso di umidità dell’11-12%; In questo modo, essendo protetti dagli agenti esterni quali raggi solari, umidità e caldo, i chicchi si conservano più a lungo e la bevanda che ne deriva riesce a trasmettere appieno tutta la qualità del raccolto originale. In caso contrario, i chicchi vanno incontro a ossidazione ed invecchiamento (fading). Oggi, alcune tipologie di caffè vengono confezionate utilizzando sacchi di iuta e sisal – un’altra fibra tessile ricavata da un’agave – in combinazione con sacchi di plastica da inserire all’interno di quelli in tessuto.
I sacchi di iuta si collegano al caffè sin dai primi del ‘900: la misura standard di 60 kg deriva dai vincoli imposti dal mezzo di trasporto utilizzato ai tempi, ovvero il mulo. I muli, infatti, sono in grado di trasportare due sacchi collocati ai due lati del basto; questa misura atipica, però, è sempre stata mantenuta nel tempo, e il settore del commercio del caffè la utilizza tuttora. Nei primi anni del ‘900, il mercato del caffè era dominato dal Brasile, che, nel primo decennio del secolo scorso, arrivò a controllare l’80% dell’intera produzione mondiale. I muli sono stati utilizzati per trasportare il caffè fino ai porti di partenza fino all’avvento della ferrovia, che venne costruita rapidamente e collegava i porti alle aree interne di coltivazione.
Il porto di Santos raccoglieva tutta la produzione paulista e raggiunse il completo monopolio dell’esportazione, riuscendo anche a pilotare i prezzi utilizzando appositi “piani di conservazione”. I sacchi di caffè venivano caricati sulle stesse navi usate per traghettare gli emigranti in cabine di terza classe verso il Brasile. Dopo aver sbarcato i passeggeri, sopravvissuti in condizioni estreme alla traversata atlantica, gli alloggi diventavano delle stive nelle quali venivano stipati i sacchi di caffè verde, spesso prestando poca attenzione alla ventilazione e all’umidità. Il caffè arrivava a destinazione in uno stato di conservazione precario, con presenza di muffe e fermentazioni. I porti di arrivo, oltre a quelli statunitensi, erano principalmente quelli del nord Europa, come Amburgo e Le Havre, e quelli del mediterraneo quali Marsiglia, Genova e Trieste. Il caffè brasiliano, a quei tempi, non era certamente riconosciuto come un caffè di qualità, cosa che riuscì a guadagnarsi con il progressivo miglioramento delle pratiche di coltivazione, di processamento, di trasporto e con l’attenzione alla qualità sempre più centrale in tutta la filiera brasiliana.