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“A coffee with” è il racconto della vecchia fabbrica attraverso le parole di chi l’ha vissuta.
Questa volta abbiamo bevuto un caffè con Massimiliano Valenti, Chief Financial Officer de La Marzocco.
Era il 2004, lavoravo a Milano e avevo un bell’ufficio, l’autista, la segretaria. Ma la mia famiglia e la mia vita erano a Firenze e inoltre non ne potevo più di lavorare nelle cosidette “grandi” aziende. Tramite un amico venni a sapere che a La Marzocco cercavano qualcuno che si prendesse cura di tutta la parte amministrativa e del personale. Feci un paio di colloqui, rigorosamente ad ora di pranzo, con l’allora Amministratore Delegato Ron Cook e, dopo averci pensato un po’, mi convinsi che valeva la pena provare a buttarsi in questa nuova avventura.
Passare da Milano a Pian di San Bartolo fu un mezzo trauma (ovviamente lo dico con molto affetto). I primi giorni furono abbastanza complicati: non sapevo niente di caffè e tantomeno di macchine da caffè. Prendevo un caffè al giorno solo perché mi aiutava a svegliarmi al mattino. E poi era un mondo completamente diverso: eravamo in diciassette in tutto, di cui una decina in officina e il resto negli uffici.
Gli operai storici, che sono ancora quasi tutti con noi, erano entrati tutti da ragazzi grazie a un contatto personale con Piero. Era un ambiente più che familiare. Uno era il figlio di un operaio de La Marzocco purtroppo scomparso giovane, uno il nipote di Luciano, lo storico gestore della trattoria “Tremoto” a Pian di San Bartolo, uno era il figlio di amici della famiglia Bambi. Solo Lorenzo Carcasci, il saldatore, era stato cercato e preso in base alle competenze che già aveva. Io arrivavo da realtà molto più complesse e molto diverse: la Piaggio, la Fiat, la Pirelli. A Pian di San Bartolo c’era anche Ron Cook, l’Amministratore Delegato, che parlava uno simpatico slang anglo italiano. E poi c’erano soprattutto Piero Bambi, che era ancora parecchio in forma e agiva un po’ da padre padrone, faceva e disfaceva, la signora Pina e il signor Ettore.
La mitica Pina era entrata in azienda a 16 anni ed è andata via solo quando è andata in pensione. Seguiva un po’ tutto: gli acquisti, il personale, era il factotum dell’azienda e persona di fiducia di Piero. Ettore Toscani (che era il marito della cugina di Piero Bambi, Anna) seguiva contabilità e amministrazione ed era veramente un signore vecchio stile: capelli bianchi, elastico sulla manica della camicia, teneva la parte amministrativa e contabile con la matita e il block notes. E la mitica Olivetti che copriva tutte le sere con una specie di busta di plastica per paura che si sciupasse. Poi c’erano Roberto (Bianchi, Chief Operating Officer), che gestiva tutta la parte della produzione e Guido (Bernardinelli, CEO) e Lorenzo (Carboni, Sales Director) che seguivano il commerciale ed il marketing.
Questa era l’azienda. I primi giorni Piero mi sembrava sempre scontroso e nervoso, pronto a polemizzare per qualsiasi motivo. La Pina e Ettore tendevano a fare muro, come tutte le persone che crescono dentro un’azienda e non sono così abituate a trasferire informazioni o a integrare persone nuove. Dopo solo una settimana mi trovai su un aereo destinazione Seattle per conoscere anche Kent, Joe, John e Tim, i soci americani. Abituato alle grandi multinazionali e ai molti formalismi, sempre con “dottori” e “ingegneri” in abito scuro, mi ritrovai dall’altra parte del mondo in una serie di riunioni di persone del tutto informali, con jeans e maglietta.
A quei tempi producevamo circa 1200, 1300 macchine l’anno. Più della metà di quelle macchine andavano negli Stati Uniti. Eravamo strettamente legati ad un solo mercato e se quel mercato avesse diminuito i propri ordini ci avrebbe messo in grosse difficoltà. Tutti i lunedì mattina facevamo una riunione per verificare lo stato del portafoglio ordini ed ogni nuovo ordine veniva festeggiato come un evento eccezionale.
Inoltre c’erano dei riti sacri. Ogni mattina verso le otto e mezzo Piero faceva il caffè per tutti e guai a chi non c’era o chi aveva da ridire sulla qualità del caffè. Che poi era sempre il solito, era quello che piaceva a Piero e quindi si poteva bere solo quello. Era un’atmosfera veramente particolare, molto bella, molto piacevole, ti sentivi davvero parte di una famiglia.
Per portare avanti l’azienda dovevamo crescere, come numero di clienti e come fatturato. Nuovi prodotti, nuovi mercati, nuovi clienti, nuova organizzazione, assumere persone che venissero a darci una mano in tutto questo. Ricordo che i primi ad arrivare furono Barbara (Galea, Customer Care Manager) ed Ettore (Scagliola. After Sales Specialist) e subito a ruota arrivarono poi Diego (Albano. Account Receivable Coordinator) ed Elena (Ciuffi, Purchasing Manager). Furono i primi rinforzi per provare a costruire un’organizzazione che fondamentalmente non esisteva. Iniziammo a strutturare l’azienda in modo da poter supportare un’eventuale futura crescita.
Sicuramente una delle figure più importanti della mia vita alla Marzocco è stata Piero. La figura storica dell’azienda. E con Piero si è creato un rapporto speciale. Ho sempre dato del lei a Piero, si rideva e si scherzava, ma ci davamo del lei. Per una forma di educazione e rispetto. Credo si sia creato un rapporto di estrema fiducia e stima, oserei dire affettuoso. Tra me e lui, tra lui e le altre persone in azienda. Era un po’ il nostro babbo, il nostro insegnante, il nostro tutor da tanti punti di vista. Al di là del suo impatto un po’ burbero era una persona squisita. Lucidissimo e intelligentissimo, di grande generosità, una persona da cui c’era tanto da imparare, è stato davvero una figura di riferimento a cui penso spesso ancora oggi. Il motivo per venire in azienda e fare sempre le cose al meglio. Una persona a cui abbiamo voluto tutti un gran bene e credo che lui ne abbia voluto altrettanto nei nostri confronti. Spesso me lo trovavo davanti alla porta dell’ufficio: “Ce l’ha cinque minuti?”. Quando succedeva questo sapevo già che c’era qualcosa che non gli andava a genio. E sapevo che sarebbero state due ore e non cinque minuti. Quando ogni tanto mi dicono che mi sto “Pierizzando” lo prendo come un gran complimento. Penso sia stata una presenza necessaria. Dovremo esser bravi a mantenere i suoi insegnamenti sempre presenti.
Quando poi nel 2009 l’azienda ha cercato di cambiare passo, abbiamo tentato di unire quelli che erano gli aspetti positivi della gestione precedente a quella che era la nostra nuova visione dell’azienda. Oggi non siamo più una famiglia così piccola ed il gruppo è diventato estremamente complesso ma i nostri principi sono rimasti sempre gli stessi.
Per prima cosa cerchiamo sempre di capire se chi arriva a darci una mano condivide con noi la nostra visione e la nostra filosofia. Perché le competenze tecniche specifiche le possiamo migliorare ma dobbiamo riuscire a capire se quella persona è in grado di integrarsi nel nostro gruppo di lavoro, nel nostro ambiente, se condivide le nostre idee ed il nostro modo di vivere l’azienda.
Oggi il gruppo conta su circa 800 persone e nel corso degli anni siamo convinti di aver inserito persone molto in gamba, che hanno voglia di fare, che hanno voglia di condividere un percorso e una filosofia comune. Vedere crescere un gruppo di persone che lavora in sintonia, con questa voglia di stare insieme è molto bello. Io spero di rimanere in azienda ancora per molti anni però mi rendo conto che dobbiamo iniziare a pensare a quella che sarà la Marzocco di domani. Uno dei nostri principali compiti adesso è costruire e garantire la generazione futura de La Marzocco. Tutto quello che stiamo facendo va in questa prospettiva. Creare quello che sarà il futuro de La Marzocco perché ci piace pensare che aldilà di noi e della nostra presenza, l’azienda continuerà ad essere ancora più forte e migliore di adesso.