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Il caffè come bevanda comincia a diffondersi progressivamente nel XVII secolo; tuttavia, sono le cronache del XVIII secolo a documentare del ritmo dinamico con cui cominciano a fiorire locali pubblici in diverse città d’Europa, luoghi ricercati di incontro e di scambio dove è possibile sorseggiare il caffè: da Vienna a Amburgo, da Venezia a Parigi fino Londra. Il consumo non era ancora diffuso, la materia prima era ancora costosa e di difficile reperibilità, destinata perciò a una fascia di avventori economicamente benestante. In questo preciso momento storico non tutte le classi sociali potevano permettersi il lusso del caffè, un prodotto che veniva pesato con bilancini di precisione e venduto sui banchi delle farmacie.
Inizialmente, quindi, gli eleganti Caffè dove la bevanda era servita solo ed esclusivamente al tavolo erano frequentati da una clientela agiata.
Per un reale consumo di massa del caffè, magari sorseggiato in piedi al bancone secondo la consuetudine moderna, bisognerà attendere il periodo successivo al secondo conflitto mondiale, quando l’Italia cominciò a superare, un poco alla volta, le difficoltà economiche e sociali ereditate dalla guerra.
Le macchine da caffè sono strumenti estremamente popolari, utilizzate in ambito domestico ma anche da professionisti. Quando sono comparse per la prima volta e come si sono evolute?
Occorre distinguere le caffettiere per uso domestico dagli apparati per caffè espresso destinati ai locali pubblici cioè due tipologie di macchine completamente differenti che hanno alle spalle una lunga storia. La forma delle caffettiere è strettamente legata ai vari metodi di estrazione del caffè che ne hanno condizionato sempre anche l’aspetto estetico; esistono, infatti, almeno dieci sistemi di funzionamento per le macchine di uso domestico che possiamo anche elencare: infusione per bollitura, percolazione o filtro, percolazione a capovolgere, percolazione a pompa, percolazione con pompaggio riciclante, filtropressa, percolazione idrostatica, vacuum o a depressione, pressione di vapore, pressione di pistone. Alcuni sono metodi ancora conosciuti e impiegati in tutto il mondo mentre altri, con il passare del tempo, sono gradualmente scivolati nell’oblio. Il sistema di funzionamento adottato per ogni caffettiera influenza inevitabilmente la struttura. Anche i materiali impiegati per realizzare questi splendidi oggetti possono variare, dai contenitori più comuni in ottone o rame adatti all’infusione per bollitura fino alle raffinate macchine in porcellana e a globi di vetro che in passato abbellivano le tavole delle dimore della nobiltà.
Per ciò che riguarda il caffè espresso, invece, preme innanzitutto ricordarne l’origine tutta italiana al pari dell’ideazione delle macchine adatte a erogarlo. È una storia affascinante che possiamo sintetizzare a grandi linee. Nel 1884 l’imprenditore torinese Angelo Moriondo depositò il brevetto per un’innovativa macchina di forma cilindrica e funzionamento a vapore capace di produrre, in tempi relativamente brevi, una o più tazze di caffè. Moriondo, tuttavia, ne fabbricò solo pochi esemplari destinati ai propri esercizi commerciali come richiamo promozionale. Uno di questi apparati verrà presentato all’Esposizione Generale Italiana di Torino (1884) ottenendo un importante riconoscimento e l’attenzione della stampa. Sarà però l’ingegnere milanese Luigi Bezzera, agli inizi del Novecento (1901), a produrre e distribuire in maniera industriale queste imponenti macchine «a colonna», cioè a sviluppo verticale, favorendone la diffusione. Queste nuove macchine decorate con fregi liberty, smalti colorati e ornamenti in miniatura (vittorie alate, aquile, etc…) erano collocate sul bancone e contribuivano ad arredare l’ambiente con la loro presenza raffinata. Venivano messe in funzione da personale specializzato, in pratica dei macchinisti con patentino da «fuochisti», in grado di gestire valvole di sicurezza e pressione di vapore. Il nome «espresso» attribuito al caffè «istantaneo» somministrato grazie alle innovative macchine a vapore ha origine in questo periodo, e si riferisce alla possibilità di offrire un caffè sempre fresco, preparato «espressamente» su richiesta del cliente. Non solo, l’appellativo «espresso» con cui venne ribattezzata la bevanda era un esplicito riferimento alla categoria dei treni caratteristici dell’epoca. L’accostamento tra il nome dell’infuso e la velocità del mezzo ferroviario suggeriva, infatti, l’idea di una rapida erogazione in tazza. È bene ricordare che l’impiego degli apparati «a colonna» migliorava la qualità della bevanda, ma presentava uno spiacevole effetto collaterale: il vapore danneggiava le sostanze corroboranti che si formavano nel filtro, cedendo al caffè un sapore di bruciato. Inoltre, tali macchine non erano in grado di produrre la crema-caffè e bisognerà attendere il secondo dopoguerra per ottenere un espresso caratterizzato dalla tipica crema in superficie. Questo periodo è particolarmente importante nella storia dello sviluppo delle macchine per espresso. A metà degli anni Quaranta, infatti, la forma cilindrica e verticale (modello Bezzera) delle macchine è sostituita dallo sviluppo in orizzontale (già concepita nel 39 dai fratelli Bambi), un’idea che consentirà di avere più gruppi erogatori, maggiore ergonomia e di servire contemporaneamente più clienti. Ma la vera rivoluzione avviene quando Giovanni Achille Gaggia proprietario di un bar a Milano, dopo alcuni anni di ricerche e tentativi, realizza una macchina con
funzionamento «a leva». È il 1947 e il barista-imprenditore deposita un brevetto che certifica una radicale innovazione rispetto al passato: un pistone coadiuvato da una molla, una leva in grado di pompare acqua sotto pressione sulla polvere di caffè. La registrazione di quel brevetto è fondamentale per la storia dell’espresso e del costume italiano; con l’invenzione della macchina a leva nasce, infatti, un nuovo modo di assaporare il caffè che non ha precedenti, un espresso denso e cremoso che inizialmente spiazzò la clientela salvo poi conquistarla definitivamente. I passi ulteriori nell’evoluzione degli apparati per espresso avverranno nei decenni successivi con l’invenzione del sistema a «erogazione continua» e con la nascita delle macchine «superautomatiche» sul finire degli anni Sessanta.