LOADING

Blog

Sono entrato a La Marzocco nel 1990, quindi il cambiamento che vedo è enorme. L’ambiente di Scarperia è completamente diverso da come era Pian di San Bartolo. Ma rispetto a oggi facevamo un numero di macchine molto inferiore, in officina eravamo dieci e il nostro lavoro era svolto in modo molto più artigianale. Era un altro mondo. Oggi non sarebbe possibile riuscire ad accontentare le richieste dal mercato attuale lavorando come facevamo 30 anni fa.  

Quando sono entrato il lavoro veniva gestito dagli operai più anziani: mi dicevano cosa dovevo fare e io facevo. Si partiva dall’essere ragazzi di bottega e poi si cresceva.  Gli anziani, più esperti, volevano passarti le loro conoscenze, ti volevano insegnare a lavorare, farti capire i macchinari, come si faceva una cosa o un’altra e come funzionava tutta la macchina. Era anche molto più complesso, ma aveva senso, perchè se realizzi i componenti interni è importante sapere come devono funzionare, per capire meglio come devono essere fatti. Diventano conoscenze correlate importanti e questo era come era La Marzocco quando sono entrato io. Tante cose venivano fatte internamente. A parte i telai e la parte estetica che avevano iniziato a darli fuori, poi tutta la parte interna, tipo le caldaie, i tubi dell’idraulica, tante lavorazioni meccaniche venivano fatte tutte a mano. E negli anni alcune lavorazioni che richiedono molte conoscenze sono state prima mandate fuori e poi riportate all’interno.   

Di elettricità quando sono arrivato non ne sapevo niente. Il mio lavoro, all’inizio specialmente, appena entrato, era solo fare i cablaggi. Io tagliavo i fili, mettevo i connettori e poi c’era Franco, quello che ci ha insegnato, che li montava. Poi se un giorno mancava una persona, la sostituivi, quindi via via imparavi anche altre cose. 

Inizialmente ero indirizzato sull’elettricità. Mi ricordo che facevamo tutto noi, addirittura partivamo dal filo elettrico bianco e lo coloravamo. Da quando sono entrato sono quasi sempre stato agli impianti elettrici, poi ho girato un poco e poi sono tornato agli impianti elettrici.  

Oggi faccio parte della squadra sperimentale. Non ho studiato, ma mi sono formato nel tempo con l’esperienza, con la pratica. Perché per arrivare a certi livelli ci vogliono anni di lavoro.  

Sicuramente gli anziani contavano molto, perché avevano un bagaglio di conoscenze date dall’esperienza. A capo dei reparti c’erano le persone più esperte. Poi Piero era sempre attento ed era il supervisore di tutto, ma aveva piena fiducia nelle persone che lavoravano. Collaborava con loro, il lavoro si svolgeva così. 

Ora si lavora diversamente: arriva il cablaggio già pronto, si monta sulla macchina, si collauda e la si manda via. Si tratta di assemblare. Invece mi ricordo che noi in officina avevamo sempre la lima a portata di mano, se un pezzo non tornava lo si aggiustava per farlo tornare meglio che si poteva. Oggi si prova, se non va si scarta, perché abbiamo un reparto che si occupa del controllo qualità in modo che i fornitori mandino pezzi più precisi possibili, che siano conformi. Mi ricordo che noi passavamo la carta a vetro su tutti gli spigoli per arrotondarli, in modo che tu potessi toccare la macchina in ogni parte senza tagliarti. 

L’atmosfera di Pian di San Bartolo è un po’ difficile da spiegare. Gestiva tutto Piero, ma ognuno aveva una sua libertà organizzativa e c’era fiducia da parte di chi ti gestiva. Mi ritengo fortunato, perché da quando ci siamo spostati a Scarperia noi operai storici essendo più esperti siamo stati divisi tra la produzione e il reparto sperimentale. Io sono entrato nella squadra sperimentale, che affianca il reparto Ricerca e Sviluppo per la prototipazione e i nuovi prodotti. Seguo tutti i nuovi progetti. Non ho una tabella di marcia standard da seguire e in un certo senso è come quando ero a Pian di San Bartolo. Posso prendere l’iniziativa per fare le cose anche un po’ come voglio io. 

Passando da produzione a reparto sperimentale mi sento di aver fatto un passo indietro verso l’atmosfera di Pian di San Bartolo. Ci sono gli ingegneri che progettano e guidano tutto, ma il nostro parere viene comunque ascoltato. Quando ho detto che mi sarebbe piaciuto imparare a disegnare al computer quello che ho chiesto mi è stato dato. Mi sento una persona considerata. Forse è una considerazione meritata o forse ho avuto fortuna, ma comunque io sono molto grato. Nel mio reparto riesci ad esprimerti. C’è comunque da trottare, ma progetti, crei, vedi le cose nascere.  

A Piero nel suo modo di fare ha sempre rappresentato la Marzocco di quei tempi. Era un inventore, e stava dietro alle cose. Piero aveva un vero amore profondo per tutto quello che ha fatto per tutta la vita. Certo, come tutti aveva di sicuro anche dei lati negativi, e va riconosciuto che un datore di lavoro non ti è quasi mai simpatico, ma se ci penso mi ha preso ragazzino, mi ha insegnato un lavoro e mi ha tenuto nella squadra. E negli anni che sono stato con lui posso solo dire di esser stato bene. Eravamo una famiglia. Piero ci ha visti crescere. Poi è normale, uno qualcosa da ridire lo trova sempre, ma è sempre stato corretto nei nostri confronti e nei confronti dell’azienda. Per mantenerci nei momenti difficili hanno anche fatto delle rinunce. Vuol dire essere una persona con il senso di responsabilità, di dovere e riconoscimento nei confronti di chi lavora per te. Nel momento poco buono ha mantenuto la ditta aperta. Per amore della ditta ma anche per rispetto degli operai, delle persone che ci lavoravano dentro. Quindi non posso che parlare bene di Piero.  

Vent’anni fa ci facevamo gli scherzi. Nella pausa facevamo i gavettoni, ci mettevamo il grasso sugli arnesi. Ci si prendeva in giro dalla mattina alla sera. Certo, quando c’era da lavorare si lavorava, ma era un bello sfogo, sembrava di essere dieci amici al bar. Sapessi quanti vetri si è rotto giocando a pallone in pausa pranzo. Si facevano le partite di calcetto dove ora c’è il parcheggio.. si giocava a calciotennis. S’era ragazzi se ne inventava di tutte nei momenti di pausa. 

L’inizio del cambiamento è stato quando gli americani, che erano clienti inizialmente, hanno acquisito la Marzocco. Già con l’amministratore delegato Ron Cook la situazione cambiò come pensiero di immagine, di vendita, come produzione, 

Quando sono entrato io l’unica pubblicità che veniva fatta era essere presenti alla fiera di Milano, che portava gli ordini dei clienti fino all’anno successivo e Piero andava a Milano, di anno in anno, e questo era. 

I soci americani avevano in mente un business diverso, impostarono la fabbrica con l’idea di crescere. Arrivarono i primi ingegneri, prima americani, ricordo Bill, Jacob e poi Roberto Bianchi. E c’è stata una bella crescita, un cambio totale della metodologia di lavoro. Facevamo quattrocento macchine l’anno, già farne seicento ci sembrava una crescita enorme. 

Era tutto molto spartano. Non c’era riscaldamento, quando entrai, avevamo una stufettina a gas da tenere sotto al banco. E non c’era muletto, perciò quando si dovevano caricare le macchine da spedire ce le spostavamo tutte a mano. E quando arrivavano a consegnare le cose i camion dovevano fermarsi sulla strada e dovevamo scendere noi. Anche il non avere i carrelli voleva dire che le macchine dovevamo alzarle per spostarle da una postazione all’altra. E andava a finire che chiamavano sempre i giovani.  

Con la crescita sono arrivati i carrelli il muletto, il transpallet, il riscaldamento… tutte cose che magari in altre aziende avevano già, ma a La Marzocco c’era una mentalità più da officina che da fabbrica. Il marketing è iniziato con Kent e Ron. E infatti il mercato statunitense, che era quello che era curato da Kent, era quello che funzionava. E Ron iniziò a pensare al mercato oltre gli USA. Fu Ron a iniziare la sponsorizzazione della WBC. Guido e Lorenzo furono presi da lui. Hanno fatto le cose giuste per riuscire a mantenerla nel tempo. Hanno aperto altri mondi.  

Questo è quello che mi ricordo di quei tempi, s’era ragazzi. Ci hanno formato, ci hanno insegnato bene… che poi in realtà uno non smette mai di imparare perché se penso a dove ero e dove sono ora c’è un mare nel mezzo. Perchè io ho continuato a imparare, non ho studiato ma alla fine ho studiato qui dentro. Per necessità lavorative io mi sono formato attraverso il lavoro. Perché hanno anche saputo raccogliere le richieste di chi ha voluto approfondire, io quando ho chiesto di aver qualcosa sono sempre stato ascoltato.  

 

Resta in contatto con noi

Se desideri rimanere costantemente aggiornato sulle novità del mondo Accademia del Caffè Espresso, i suoi eventi, i suoi prodotti e le sue iniziative commerciali e promozionali, iscriviti al servizio “Resta in contatto con noi”.

Cerca nel sito Cerca