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Abbiamo sempre pensato a La Marzocco come fosse un’estensione della famiglia di Barista Magazine, ad oggi abbiamo lavorato assieme per più di venti anni. I miei ricordi insieme a Lorenzo e Guido negli eventi dappertutto intorno al mondo iniziano probabilmente dal 2004.
La mia prima visita alla fabbrica è stata circa dieci anni fa, anzi probabilmente qualcosa di più, ed ero con un gruppo di persone fantastiche che La Marzocco stava ospitando per qualche giorno a Firenze dopo Host: c’erano Kent Bakke, Dougs Hell di Intelligentsia, Liz Hudson di Stumptown, che ha il famoso logo con il leone de La Marzocco tatuato sul petto, e Guido, Chris e Lorenzo ci portarono tutti a cena in un ristorante meraviglioso; fu veramente divertente, e non vedevano l’ora di arrivare in fabbrica il giorno dopo. Mandarono un pulmino a prenderci perché avevamo un hotel a Firenze, ed arrivammo alla fabbrica in una giornata stupenda. Facemmo un tour e Piero Bambi, che era lì, ci preparò un espresso: fu molto molto speciale. Mi ricordo l’atmosfera accogliente, un ambiente affettuoso, caldo. Eravamo in un posto di lavoro, molto professionale, ma anche molto simile a una famiglia.
Sul terrazzo c’erano le mattonelle decorative con i nomi degli amici de La Marzocco, e ne chiesi subito una anch’io, a nome di Barista Magazine. E poi ricordo che scendemmo giù, credo fosse il bar dell’area produzione, dove potevano fare una pausa. C’era anche un tavolo da ping pong, e l’impressione fu che tutti fossero molto felici, sembrava un ottimo posto dove stare.
Una delle ragioni per cui è iniziato il mio rapporto con La Marzocco è stata che La Marzocco all’epoca era sponsor della World Barista Championship. Barista Magazine era agli inizi e la WBC era appena nata. Quando abbiamo iniziato a pubblicare Barista Magazine tutti ci dicevano che eravamo pazzi perché il barista era solo un lavoro da studenti universitari, non era una vera e propria professione, una carriera. Noi però la pensavamo diversamente da tutti, e come noi anche La Marzocco. Prima che qualsiasi altro brand di macchine da caffè avesse un brand ambassador, la marzocco cercava l’opinione dei baristi e voleva avere un loro feedback.
Credevano innanzitutto nelle persone, e penso che la community questo lo abbia capito. È per questo motivo che lo specialty coffee è diventato oggi così universale. Non si trattava solo di passione. Le persone volevano entrare a far parte di questo mondo.
Il fatto che La Marzocco sia stata lo sponsor della World Barista Championship ha mandato un messaggio importante alla community sull’importanza del lavoro del barista. E Credo che oggi non sia diminuito in importanza.
In Italia, per molti anni la professione del barista non è stata riconosciuta, anche se quasi tutti i brand di macchine da caffè espresso arrivavano dall’Italia, dal paese in cui venivano costruite le migliori macchine da caffè. Mi ricordo le prime volte in cui sono stata nei locali a Milano dove facevano veramente specialty coffee, era tutto nuovo. Nei primi anni 2000 i migliori caffè e i migliori baristi professionisti non erano in Italia, erano nei paesi del nord o negli Stati Uniti, e non avevamo ancora iniziato a sentir parlare dell’Australia.
Credo tutto sia iniziato nei paesi del Nord grazie ad un piccolo gruppo di persone che spingevano per un cambiamento, che lavoravano a Solberg and Son a Oslo; Sonia Grant, che lavorava al Caffettar a Reykjavik e Willy Hanson, che lavorava anche lui a Solberg and Son e che fu quello che per primo ebbe l’idea di una competizione che coinvolgesse i baristi. Crearono la World Barista Championship, che iniziò nel 2000, e poi la Nordic Barista Cup. La Marzocco era coinvolta in entrambe le competizioni e penso fu lì che incontrai per la prima volta Lorenzo (Carboni). Alla Nordic Barista Cup si presentavano squadre di quattro baristi provenienti da Islanda, Norvegia, Danimarca, Svezia e Finlandia. C’erano delle competizioni “serie”, tipo la sfida a chi faceva l’espresso migliore, ma anche competizioni molto divertenti. In una delle gare, per esempio, andammo in una fattoria e mungemmo una mucca usando una brocca e poi facemmo un espresso, fu veramente divertente.
Il mio primo ricordo de La Marzocco? Prima che io fondassi Barista Magazine lavoravo in un’altra rivista del settore a tema caffè. Sapevo che, se avessi voluto scrivere a riguardo dei baristi avrei dovuto lavorare con loro in un modo o nell’altro. Io non sono una barista, sono una scrittrice, lascio ad altre persone che lo fanno meglio di me il compito di fare il caffè. Quindi lavoravo in una azienda a Seattle chiamata Zoka, che all’epoca era molto coinvolta nella WBC, e che aveva macchine La Marzocco. Zoka credeva tantissimo ne La Marzocco. Io mi occupavo di marketing e comunicazione. Presto iniziai a lavorare con i baristi che partecipavano alle competizioni: c’era una Linea Classic installata appositamente perché potessero usarla per allenarsi e fare pratica. É stato lì che ho iniziato a sentir parlare de La Marzocco, e tutti ne parlavano come l’eccellenza assoluta. Amavano La Marzocco, ci credevano moltissimo. Questo è stato il mio primo incontro, è stato il brand che ho conosciuto per primo.
Quanto al mio miglior ricordo… è complicato, perché ne ho tantissimi! Sono stata davvero tanto fortunata che La Marzocco mi abbia invitato a visitare la piantagione di Songwa, mi pare fosse il 2009 e credo quella sia stata una tra le esperienze più magiche della mia vita. Ricordo un barista nel Lodge di Songwa che, praticamente in mezzo al niente, aveva del caffè e una Linea, e faceva un espresso incredibile. Ogni mattino c’erano le uova appena fatte dalle galline, e il miele appena preso dall’alveare. E poi questo caffè incredibile, fatto da baristi incredibili: fu la mia prima esperienza in cui provai un caffè eccezionale alle origini.
Ah! Ho anche un altro ricordo! Il premio della Nordic Barista Cup ogni anno era un viaggio alle origini. Un anno il viaggio premio fu in Nicaragua e venne deciso che ci sarebbero stati due furgoncini e due pickup, su cui vennero caricate parecchie La Marzocco Linea Classic. I vincitori avrebbero guidato in giro per tutto il Nicaragua, installando queste macchine da caffè espresso nelle piantagioni, nei mulini, e avrebbero fatto il caffè espresso in modo che potesse essere assaggiato dai produttori, dai raccoglitori, da chi lavorava nelle piantagioni e nei mulini. E per la maggior parte di loro quella fu la prima volta in cui assaggiavano un caffè espresso. Fu un’esperienza incredibilmente potente per me. Attraversammo il paese, visitammo diverse piantagioni, alcune delle quali veramente sperdute nel nulla, dove dovevamo fare tutto noi, e trovare soluzioni fantasiose ad ogni piccolo problema tecnico. Alcune delle persone che incontrammo lavoravano nelle piantagioni che erano della loro famiglia da secoli e non avevano mai assaggiato un espresso fatto con il loro caffè. Vedere le loro facce illuminarsi dalla sorpresa è stata un’esperienza magica.
Del 2009, l’anno in cui ho visitato Sogwa, ricordo anche l’emozione di aver partecipato all’Out of the Box di Milano dello stesso anno. Lì incontrai Mira Song, che guida la filiale coreana, fantastica, e Gloria Montenegro della Cafeothéque di Parigi. Lei è veramente una persona incredibile; ogni barista parigino ha lavorato almeno una volta nella vita alla sua Cafeothéque. Gloria ha sempre avuto questa visione, prima ancora che molte persone potessero accorgersi di questo possibile percorso, e lei ha aperto la strada, come la Marzocco. L’evento del 2009 è stato veramente speciale, non solo perché è stato il primo ma anche per aver saputo riunire così tante persone straordinarie.
Il primo ricordo che ho di Piero è stato proprio a OOTB, l’anno in cui gli venne regalata la riproduzione del Van Romeo. L’ho incontrato lì per la prima volta, ho una foto di Piero che lo vede per la prima volta. Fu un momento davvero speciale, indescrivibile, come la storia di quel furgoncino e di come era stato riportato in vita. Adesso è in Accademia e tutti possono vederlo. Mi ricordo che Piero ci salì su e forse dietro salimmo con Mike. Fu divertentissimo. Quella credo sia stata la prima volta che ho conosciuto Piero, poi l’ho rivisto uno o due giorni dopo quando sono arrivata alla Fabbrica a Scarperia e ci ha offerto un espresso, e poi qualche anno dopo quando l’ho intervistato per un articolo, lì in fabbrica. Era una persona affettuosa, era felice di essere parte della “festa”, arguto e brillante. Si capiva che gli piaceva avere baristi in visita alla fabbrica e loro erano emozionatissimi dall’idea di incontrare Piero. Era una cosa speciale da vedere di persona.
Ho iniziato a pensare di poter avere una mia rivista quando ancora lavoravo in una rivista di settore che oggi non esiste più. Era il 2002, prima avevo scritto per altri giornali su altri temi. Sentii parlare di una barista competition a Miami e mi sembrò una cosa pazzesca: mi incuriosì veramente tanto perché prima di scrivere di caffè avevo scritto di musica, e trovavo nei baristi di quei tempi tutta una serie di parallelismi positivi con i musicisti, con cui condividevano le migliori caratteristiche: erano curiosi, particolari, brillanti, erano divertenti e molto socievoli. A quei tempi il settore del caffè, la coffee culture, era molto “aziendale”. Alle fiere vedevi tutti in giacca e cravatta, l’ambiente non era vario, colorato e vivace come oggi.
Mi incuriosivano i giovani skater che erano agli eventi, che andavano alle competizioni. Il mondo dei baristi era agli albori, il giornale per il quale scrivevo in quel momento parlava di tutti gli aspetti del caffè. Pensai che invece i baristi meritavano una rivista dedicata a loro, perché molti lettori erano proprietari di locali che avevano una tale passione per il caffè da identificarsi come baristi, prima ancora che come proprietari di un locale. E così io e mio marito, che è l’editore, lanciammo Barista Magazine nel 2005.
Di quei tempi ricordo la sensazione di essere parte di una grande famiglia: fin da quando mi ricordo non erano solo i commerciali de La Marzocco a viaggiare e a prendere parte alle fiere e agli eventi: ad Out of the Box incontravi anche gli operai e gli ingegneri. La Marzocco portava le persone che costruivano le macchine. E in questo ci ho sempre visto una forma di rispetto verso chiunque lavori in azienda, che è qualcosa che ho notato fin da subito.
Ho amato anche il fatto che, quando ho visitato Accademia e siamo scesi giù nelle stanze che ora sono le Officine Fratelli Bambi, che oggi immagino siano dedicate unicamente ai progetti speciali… Ecco, anche solo essere in quella stanza, dove si è stata fatta la storia dell’azienda… Lo percepisci, lo puoi sentire. Anche se oggi Accademia è bellissima, e perfetta, e tutto quello che deve essere, il fatto che tu possa andare giù nelle officine e vedere l’area dei progetti speciali, vedere le cose com’erano una volta è veramente bello.

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